LA SCUOLA E I LIBRI DEL FARE SENZA SAPERE

Da anni ormai sento colleghi e studenti lamentarsi dei propri libri di testo. Sembra che più passa il tempo e più i testi diventino meno chiari per gli studenti e più superficiali per i docenti. Si tratta solo della solita laudatio temporis acti? Non credo proprio. Quando la lamentela arriva trasversalmente da studenti e professori qualcosa di vero ci deve pur essere.

Osservando i vecchi testi si notano subito alcune differenze con quelli attuali:

  • Erano libri con molto più testo e molte meno immagini;
  • Erano libri che trattavano meno argomenti, ma in modo molto più approfondito;
  • Erano libri molto più teorici e meno pratici di quelli di adesso.

La prima di queste osservazioni non è affatto negativa: l’immagine è molto importante e lo diventa sempre di più. In fondo siamo nell’era delle icone, della pubblicità e delle spiegazioni in 5 minuti. Gli studenti di oggi sono a tutti gli effetti i barbari di Baricco e sono in grado di “intuire” in 5 minuti ciò che 50 anni fa si comprendeva in ore e ore di studio. E questa cosa non è necessariamente un male. Pensate a quanto tempo serve per studiare bene la seconda guerra mondiale da un libro di testo delle scuole superiori: almeno una settimana di lettura, riassunti e schemi. Se invece del libro di testo si prende una serie di documentari fatti bene e li si guarda schematizzando gli eventi principali con una linea temporale, sono sufficienti due pomeriggi… E la preparazione non è certo inferiore.

Sul secondo punto c’è invece da discutere. Se da un lato sapere più cose ad un livello meno approfondito, per lo meno nell’ambito della scuola dell’obbligo, è utile per il tipo di società in cui viviamo, dall’altro comporta un ritardo nell’acquisizione delle capacità analitiche. Un tempo infatti uno studente in possesso di diploma aveva sviluppato capacità di ragionamento e di sintesi che oggi si acquisiscono solo in ambito universitario.  Se questo sia un bene o un male solo i posteri potranno dirlo.

Il terzo punto è quello critico. Molto critico. La scuola italiana per anni ha fornito al mondo ottimi ricercatori, ingegneri, medici e avvocati. Per anni la scuola italiana è stata un vanto per il nostro paese e tutto il mondo ha ammirato la preparazione dei nostri studenti. Quando sono stata a scuola negli Stati Uniti, nel 1999, all’inizio dell’ultimo anno delle scuole superiori, ho visto l’abisso che ci separava. A 17 anni nel corso di fisica gli studenti americani imparavano a fare le equivalenze tra unità di misura, cosa che io avevo imparato nelle scuole elementari.

Ma le cose stanno cambiando. Al giorno d’oggi ai miei studenti devo insegnare le equivalenze in terza superiore, prima di poter spiegare meccanica ed elettrotecnica.

Perché cose che prima si davano per scontate già nelle scuole medie, ora devono essere spiegate in terza superiore?

La scuola italiana ha voluto adeguarsi al resto del mondo: “meno teoria e più pratica!” è la parola d’ordine. Io sono una grande sostenitrice della necessità di partire dalla pratica per arrivare poi alla teoria. Ma sono anche una grande sostenitrice della necessità della teoria. Arrivare alla teoria non è un optional… E la teoria deve essere completa e sufficientemente approfondita.
La pratica, senza la teoria, non è altro che meccanica ripetizione di una procedura che rende gli studenti dei bravi, obbedienti esecutori, incapaci di pensiero critico e per questo facilmente manipolabili.

Prechè sta succedendo tutto questo?

Nel 2011 sul web comparve una frase molto interessante, attribuita dai più a Calvino: “Un Paese che distrugge la sua scuola non lo fa mai solo per soldi, perché le risorse mancano, o i costi sono eccessivi. Un Paese che demolisce l’istruzione è già governato da quelli che dalla diffusione del sapere hanno solo da perdere.”

CC BY-NC 4.0
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