L’IMPORTANZA DELL’AUTOSTIMA

La diagnosi di dislessia arriva spesso dopo una lunga serie di difficoltà scolastiche ed è il preludio di un cammino lungo e difficile, il cui esito non è affatto scontato.
Molti bambini dislessici, sostenuti dalla famiglia e dalla scuola, fanno del loro meglio, studiano, superano le loro difficoltà e una volta diventati adulti si laureano senza alcun problema.
Ma è inutile nascondere la testa sotto la sabbia e far finta che sia così per tutti: altri dislessici vengono abbandonati a se stessi, promossi nella scuola dell’obbligo in virtù del loro certificato nonostante non abbiano imparato nulla e infine bocciati all’università dove la dislessia non è più un alibi per coprire l’ignoranza.
Cosa fare allora, una volta ottenuta la diagnosi di dislessia, per far si che il proprio figlio non si perda lungo il cammino?
Per rispondere a questa domanda bisogna per prima cosa analizzare i fattori che determinano il successo o il fallimento scolastico.
La maggior parte delle persone è convinta che il successo sia determinato da due fattori: il talento e l’impegno. Questo è certamente vero. Ma stiamo trascurando un altro fattore, a mio avviso molto più determinante degli altri due: l’aspetto psicologico. Tutti noi abbiamo sperimentato personalmente la potenza di questo fattore: quando si è innamorati, angosciati, tristi o si stanno sperimentando forti emozioni studiare diventa difficile. Si fa fatica a concentrarsi, si legge una pagina e una volta arrivati in fondo ci si accorge di non aver capito nulla e si deve ricominciare da capo. Quando si vive uno stato di angoscia è difficile perfino ascoltare gli altri. E questo vale anche per i bambini.
Ma la concentrazione non è l’unico aspetto che si modifica in base al benessere psicologico. Un fattore molto importante è la capacità di tollerare le frustrazioni che al dislessico di certo non mancheranno nei primi anni di scuola. Solo chi non si arrende di fronte al fallimento, chi ci riprova e insiste con costanza una volta dopo l’altra alla fine supera le proprie difficoltà. Ma per far questo bisogna aver fiducia nelle proprie capacità. Il bambino che di fronte al primo fallimento pensa “Ecco, lo sapevo. Non ce la farò mai. Non sono capace” non proverà una seconda volta e se lo farà sarà già convinto di fallire. Invece il bambino che di fronte al primo fallimento pensa “Prima o poi ci riesco. A noi due” alla fine avrà successo. Il successo è figlio dell’autostima.
I bambini piccoli non hanno autostima: non sono in grado di valutare se stessi e quindi hanno bisogno che gli adulti di riferimento, genitori e insegnanti, riflettano come uno specchio le loro qualità positive in modo che essi le possano vedere, ma nello stesso tempo mostrino loro cosa deve essere modificato e cosa deve essere migliorato, senza farli sentire inadeguati.
Un bambino dislessico sa di essere diverso dagli altri, sa di avere delle difficoltà, si sente inadeguato perché capisce di non essere in grado di fare quello che fanno gli altri, spesso crede di essere stupido. Per lui è quindi più difficile sviluppare una sana autostima, ma non è impossibile se le persone che gli stanno vicino lo sostengono.
E’ molto importante dunque che i genitori, impegnati in prima linea in questa battaglia, agiscano nel modo migliore. Un aiuto in tal senso può venire dalla psicoterapia: un terapeuta competente può migliore le capacità educative dei genitori, tanto importanti per il futuro del proprio figlio. Solo un genitore con una sana autostima potrà cresce un figlio, dislessico o no, con una sana autostima.

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