Secondo la legge 170 del 2010 gli studenti dislessici hanno diritto a due tipi di aiuti: quelli compensativi e quelli dispensativi.
Gli aiuti compensativi, come dice la parola stessa, hanno la funzione di compensare una particolare difficoltà in modo da mettere l’allievo dislessico in condizione di raggiungere gli stessi obiettivi degli altri. Un esempio di aiuto compensativo è la calcolatrice: con questo strumento i discalculici possono svolgere le stesse prove degli altri, compensando la loro difficoltà nell’esecuzione dei calcoli. Anche il computer è uno strumento compensativo: quando si scrivere un tema al computer la traccia non viene modificata, ma chi è disgrafico può concentrarsi sullo svolgimento, anziché sulla scrittura manuale.
Quando si parla di aiuto dispensativo, s’intende invece che lo studente può non svolgere determinati compiti, ad esempio leggere ad alta voce.
E’ su questo secondo tipo di aiuto che oggi vorrei riflettere, a partire da una considerazione: in passato, quando non si sapeva cosa fosse la dislessia, i bambini dislessici erano costretti a leggere come tutti gli altri. Alcuni di questi bambini, considerati stupidi e maltrattati a causa delle loro difficoltà, hanno finito per odiare la scuola e l’apprendimento; altri, spronati da genitori e maestri pazienti, hanno compensato le proprie difficoltà.
Per un dislessico leggere è faticoso. E’ molto faticoso. Ma se un bambino non legge perché è lento, si stanca e commette errori, continuerà ad essere lento, a stancarsi e a commettere errori.
Non sarebbe meglio far leggere soprattutto i dislessici? Non sarebbe meglio dare loro il tempo di decodificare con calma, non suggerire le parole quando fanno fatica, attendere i loro tempi? Non sarebbe meglio insegnare ai bambini a rispettare la diversità, invece di impedire ai dislessici di leggere ad alta voce per paura che gli altri ridano di loro?
Può sembrare banale, ma per imparare a nuotare bisogna entrare in acqua e nuotare… senza fare a gara per arrivare primi in fondo alla vasca.
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